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domenica 9 dicembre 2012

TUTTI I GUAI DELLA CASA FARMACEUTICA MERCK: NON C' E' SOLO IL VIOXX






Dopo anni, l' affare Vioxx, l' antinfiammatorio ritirato dal mercato nel 2004 a causa delle sue gravi controindicazioni cardiache (responsabili di circa 27mila morti), continua a pendere sul capo del colosso farmaceutico americano Merck&Co. Trascinandone giù, oltre all' immagine, anche i profitti: a causa dei 4,85 miliardi di dollari di oneri legati al contenzioso, infatti, la casa farmaceutica ha chiuso il quarto trimestre del 2007 con una perdita di 1,6 miliardi di dollari. 
Al netto dei costi legali, la performance di Merck sarebbe stata positiva, segnando per l' anno appena concluso una crescita dei ricavi del 3% e dei profitti per 80 centesimi per azione, al di sopra delle aspettative. Ma gli strascichi del caso Vioxx, una delle più grandi tragedie della storia della farmacologia, non accennano a scomparire. L' azienda è stata infatti da poco messa sotto indagine federale dalla Grand Jury degli Stati Uniti, per determinare se abbia commercializzato il farmaco oltre gli scopi approvati dalla Food and Drug Association, l' ente statunitense responsabile, fra le altre cose, della verifica dei requisiti di sicurezza dei prodotti farmaceutici. 
Proprio quest' ultimo aveva dato l' ok, nel 1999, alla commercializzazione su suolo americano del Vioxx. Il farmaco è un antiinfiammatorio non steroideo, usato principalmente come antidolorifico nei casi di dolori cronici scatenati da osteoartriti, dismenorrea o emicranie. Dalla sua immissione sul mercato nel maggio del 1999, fino al ritiro nel settembre del 2004, sono stati più di 80 milioni i pazienti cui è stato prescritto il farmaco. Per la Merck&Co, settima nella classifica mondiale dei colossi della farmaceutica, si trattò di un vero e proprio colpo di mercato, capace di fruttare circa 2,5 miliardi di dollari di entrate all' anno, per un totale di 12,5 miliardi. Ma dopo il successo commerciale è arrivata la catastrofe. Degli studi successivi sull' efficacia dimostrarono che l' uso prolungato del farmaco causava un alto incremento del rischio di infarto e di ischemie. Le controindicazioni, gravissime e non notificate alla FDA al tempo dell' approvazione, divennero sempre più evidenti durante il periodo di diffusione del farmaco. Tanto da portare la Merck, nel settembre 2004, cinque anni dopo la commercializzazione, al ritiro volontario del farmaco dal mercato e alle dimissioni, l' anno seguente, dello storico ceo Raymond Gilmartin. Ma non c' è solo il Vioxx a turbare i sonni dei capi della Merck. Si stanno aprendo controversie per il Vytorin, un farmaco anticolesterolo sviluppato insieme con la ScheringPlough. Il prestigioso American College of Cardiology, infatti, non ha ritenuto accurati gli studi sul prodotto, presentati dalle due case farmaceutiche. Secondo delle ricerche indipendenti, infatti, il Vytorin, pubblicizzato dalla Merck come riduttore del colesterolo "cattivo" e ricostituente di quello "buono", non sarebbe più efficace delle statine, i farmaci anticolesterolo di origine alimentare utilizzate fino ad adesso. . Un duro colpo per la Merck and Co, anche se, ovviamente, come si sono affrettati a puntualizzare i vertici dell' azienda, non si tratta di un altro Vioxx: per ora non è morto nessuno. Ma con un' indagine federale sulle spalle, questo nuovo passo falso di certo non giova. A rischio, soprattutto, la fiducia di consumatori e medici curanti. Che ormai iniziano a identificare il colosso farmaceutico - anche quando non ci sono gli estremi con rischi legati alla salute. E che hanno bocciato il Vytorin prima ancora dell' American College of Cardiology: da settimane, ormai, le prescrizioni del farmaco, sul cui successo la Merck basava parte delle sue stime di crescita, sono in caduta libera. Ancora: bufere in vista per il Fosamax (un prodotto antiosteoporosi accusato nientemeno che di provocare delle fratture) e ora anche per il Gardasil, un vaccino contro il tumore alla cervice. Ma nulla è paragonabile, almeno per ora, alla bufera giudiziaria scatenata per il Vioxx. Sono 27mila le azioni legali, di cui 190 collettive, solo negli Stati Uniti. 
Nel novembre del 2007, la Merck ha accettato di pagare 4,85 miliardi di dollari per chiudere tutte le cause legali intentate dalle vittime del farmaco. 
L' accordo, raggiunto dalla Merck&Co dopo decine di riunioni con i team degli avvocati che rappresentano le vittime, avvenute in otto stati diversi, contiene una clausola importante: i pagamenti scatteranno solo se l' 85 per cento di coloro che hanno fatto causa accetterà di rinunciare ad ulteriori azioni legali. Per la Merck si tratta di un accordo vantaggioso, o almeno considerato tale dagli specialisti del settore, che stimavano cause per 50 miliardi di dollari contro il colosso, che invece è stato in grado di risolvere ha risolto il contenzioso con meno di un decimo della somma stimata e meno della metà delle entrate ricavate dalla vendita del farmaco. 
Ma proprio a causa della "soglia di accettazione" prevista dalla clausola, l' accordo rischia di non diventare mai operativo. La notizia dell' indagine iniziata da parte delle autorità federali degli Stati Uniti, infatti, come "effetto collaterale" potrebbe convincere chi ha mosso causa alla Merck&Co a non accettare il risarcimento proposto.

FONTE: Repubblica.it


sabato 18 dicembre 2010

RITIRATO FARMACO MEDIATOR DAL MERCATO

E' stato ritirato in Francia, dopo aver causato da 500 a 1000 morti.

Per quanto possiamo capire da una ricerca su Internet, la vicenda che circa un mese fa ha portato al ritiro in Francia di un farmaco indicato per la cura del diabete e dell’obesita’ (“Mediator”, prodotto dalla Servier) e indicato come responsabile di centinaia di decessi [1] ha del paradossale.


Grazie ai sistemi di farmacovigilanza, sono moltissimi i farmaci che ogni anno vengono ritirati dal commercio, o per i quali vengono modificate le indicazioni terapeutiche, o aggiunti nuovi “warnings” in merito a possibili effetti collaterali, ma il caso del Mediator fa davvero storia a sè.

Il benfluorex, principio attivo del Mediator, e’ un derivato funzionale della fenfluramina, che riduce l’assorbimento dei grassi e l’iperglicemia.

Impiegato anche nel trattamento dell’obesita’, sulla base di studi centrati sui problemi legati al diabete di tipo 2 e’ stato in commercio anche in Italia fino al 2003, data della rinuncia volontaria da parte della ditta produttrice.
In Spagna e’ stato ritirato nello stesso anno per le segnalazioni di gravi effetti avversi di natura cardiovascolare: ipertensione polmonare e valvulopatia.

In Francia, questo farmaco, pure oggetto nel 2005 di aspre polemiche [2], e’ sempre stato commercializzato fino al mese scorso.

Ma andiamo a vedere cosa dice la Food and Drug Administration sulle fenfluramine [3]. Scopriamo che questa molecola e’ stata registrata nel 1973 e che la phentermine, usata spesso in combinazione con la prima, addirittura nel 1959. Le prime evidenze di reazioni avverse vengono riportate nel giugno 1997; si trattava di 24 pazienti che avevano sviluppato patologie valvolari che per la particolare casistica venne associata all’assunzione di fen-phen (fenfluramine-phentermine). Seguirono altre segnalazioni che confermavano il rischio cardiovascolare legato a questa combinazione di farmaci.


Il 15 settembre del 1997 la FDA annunciava l’immediato ritiro della Fenfluramine e Dexfenfluramine [4].
Queste molecole sono quindi state utilizzate per oltre 13 anni, in mercati importanti, pur in presenza di prese di posizione ufficiali da parte di una autorita’ regolatoria di un certo peso quale la FDA.



Alcune semplici considerazioni sulla vicenda:

- quando si dice che la sperimentazione su animali non e’ in grado di garantire la sicurezza di un farmaco e che la vera sperimentazione e’ fatta sui pazienti quanto il farmaco viene immesso sul mercato, si fa forse una semplificazione ma di fatto è esattamente quel che accade;

- il fatto che un farmaco riveli profili di rischio importanti solo quando testato su centinaia di migliaia o milioni di persone implica che il cosidetto “modello animale” e’ del tutto inutile nell’evidenziare rischi e benefici di una data molecola.

In questo caso, ma non e’ certo l’unico, bisogna chiedersi perche’, invece di finanziare inutili studi sui modelli animali, non si rafforza seriamente l’attivita’ di vigilanza sui farmaci e i gli studi epidemiologici. Bisogna chiedersi come e’ possibile che le valutazioni di pericolosita’ di un certo principio attivo vengano ignorate per lustri da altre agenzie nazionali che hanno il compito di controllare l’efficacia e la sicurezza dei farmaci venduti e somministrati dai rispettivi sistemi sanitari.


FONTE: la leva.org

mercoledì 24 novembre 2010

INFEZIONI NEGLI OSPEDALI, OGNI ANNO FINO A 7500 MORTI

Virus e batteri in corsia fanno più vittime degli incidenti stradali,
ma i casi potrebbero essere ridotti del 30%

MILANO - È una vera e propria epidemia silenziosa quella che percorre gli ospedali italiani: fino all'8% di chi entra in un reparto ne esce infatti con un virus o un batterio, che uccide ogni anno fino a 7.500 persone. I numeri sono forniti dagli esperti riuniti al Congresso annuale della Società italiana di Malattie Infettive e Tropicali (Simit).

NUMERO COSTANTE - «Questo numero è costante negli ultimi anni, al Sud come al Nord - spiega Giuseppe Ippolito, presidente del congresso e direttore scientifico dell'Istituto Malattie Infettive Spallanzani di Roma -, ma potrebbe essere ridotto del 30% con un piccolo investimento. Purtroppo le infezioni ospedaliere fanno più vittime degli incidenti stradali». Secondo le cifre presentate in Italia si stima che il 5-8% di tutti i pazienti afferenti alle strutture sanitarie sviluppino un'Ipa (infezione associata alle patologie assistenziali), pari a 450-700mila casi con 4.500-7.500 decessi direttamente attribuibili e circa 3 milioni 750mila giornate di degenza per le complicanze infettive acquisite a seguito del ricovero. L'allarme lanciato dagli esperti riguarda soprattutto reparti come terapia intensiva e chirurgia. «Questo tipo di infezioni non sono azzerabili - avverte Ippolito -, ma andrebbero corretti dei comportamenti a rischio. Per esempio eliminando i cateteri, l'uso massiccio di antibiotici, la monosomministrazione, la depilazione pre-operatoria e soprattutto la carenza di igiene».

GERMI RESISTENTI - Della stessa opinione Evangelista Sagnelli, presidente della Simit: «Le conseguenze delle infezioni Ipa sono le polmoniti nosocomiali e le patologie multirestistenti. Questo perché molti dei germi che si acquisiscono in ospedale hanno una grande resistenza e diventano pericolosi. A rischio quindi gli anziani in degenza nei reparti di rianimazione. Spazi dove sono necessarie procedure di decontaminazione per eliminare ogni tipo di pericolo». A finire sul banco degli imputati sono i medici e le vetuste strutture di degenza sparse sul territorio nazionale. «I medici si lavano le mani solo nel 20% dei casi in cui dovrebbero - spiega Ippolito - e questo è un veicolo importante per i batteri. Poi servirebbe del personale specializzato in grado di gestire e coordinare all'interno dell'ospedale il problema di queste infezioni: un infermiere ogni 250-300 pazienti e un medico ad hoc ogni 400 pazienti».


FONTE: Corriere.it